lunedì 3 ottobre 2011

Cari amici della redazione,
scrivo per sottoporre al vostro giudizio e al vostro consiglio una questione molto importante per me.
Mi sono innamorato (cioè sono perso completamente) di una ragazza che neanche mi vede e sono sicuro che lei non sospetta per niente che io sono pazzo di lei. Il problema è che sto soffrendo e questa ragazza è nella mia classe. Io non ho il coraggio di dichiararmi e non ce l'avrò mai...sono condannato a soffrire, in più i miei amici non sanno che io ho una cotta per lei perchè sono sicuro che mi prenderebbero in giro (non posso dire il perchè mi prenderebbero in giro se no si capisce tutto...).
Lei è bellissima...

Frimato: Bellafrappè

p.s.: posso anche essere una femmina che ha scritto fingendosi un maschio!!!! Oppure no...chi lo sa? Che figata la redazione!!

giovedì 29 settembre 2011

Inizia oggi una rubrica dedicata a tutti coloro che, in forma assolutamente anonima, possono scrivere alla REDAZIONE DELLE CLASSI 3^C e 3^D per ricevere consigli, opinioni, conforto...possibili critiche (perché no? siamo aperti al dialogo, purché educato e rispettoso delle altrui opinioni). Nella parte sottostante troverete una prima lettera che mi è stata inviata via mail e che pubblico in forma anonima (firmata con uno pseudonimo, cioè con un nome falso). Tutti i lettori del blog sono invitati a rispondere in forma libera e a inviarmi privatamente le loro lettere che saranno pubblicate senza rivelare il nome di chi le scrive.


LETTERE ALLA REDAZIONE

E' da quando è iniziata la scuola che mi sento triste, senza stimoli per alzarmi dal letto e venire a scuola. Le amicizie non mi soddisfano, molti che credevo amici si sono rivelati NON amici. Vorrei anche cambiare posto di banco ma ho paura di offendere il mio compgano o compagna di banco (non voglio dire se sono un maschio o una femmina e nemmeno se il mio compagno di banco è un maschio o una femmina). Mi sento solo, non voglio crescere e non voglio assomigliare ai grandi che mi fanno paura. Tutto questo mi fa stare male e vorrei un consiglio per tornare a sorridere di nuovo.

Firmato: Atomic3


venerdì 23 settembre 2011

AFGHANISTAN

Tre militari italiani perdono la vita
in un incidente stradale vicino a Herat

Non si è trattato di un attacco terroristico ma di una sciagura vicino alla nostra base, nella zona di Herat. I soldati coinvolti addestravano personale afgano. Il numero delle nostre vittime, dall'inizio della missione Isaf, sale a 44


KABUL - Si stavano spostando nella zona di Herat, vicino alla base. Sono tre i militari italiani morti per un incidente stradale questa mattina in Afghanistan. Uno dei soldati è morto sul colpo. Altri due, in gravissime condizioni, dopo l'arrivo dei soccorsi. Le vittime sono il tenente Riccardo Bucci, lagunare della Serenissima di Venezia; il caporal maggiore scelto Mario Frasca, in servizio presso il Quartier Generale del Comando delle Forze operative terrestri di Verona; il caporal maggiore Massimo Di Legge, del Raggruppamento Logistico Centrale di Roma. In un incidente separato, a Bala Murghab, in uno scontro a fuoco è rimasto ferito un altro militare italiano.
Massimo Fogari, portavoce dello stato maggiore della Difesa, ha spiegato che i tre soldati di Herat "appartenevano ad una unità affiancata all'esercito afgano e stavano rientrando verso il comando, in una zona molto trafficata. Si è trattato solo di un incidente stradale. Erano impegnati in una missione di collegamento, si spostavano cioè per dare informazioni logistiche-amministrative".
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha mandato un messaggio ai familiari delle vittime per esprimere il dolore e il "cordoglio di tutto il Paese". E "grande vicinanza alle famiglie dei caduti" è stata espressa dal ministro della Difesa, Ignazio La Russa, mentre da New York, dove si trova per rappresentare il governo all'Assemblea dell'Onu, il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha ribadito che "questo dolore non può e non deve arrestare il processo di transizione verso la democrazia ormai avviato in Afghanistan e reso possibile anche grazie all'altissimo prezzo pagato dalle nostre Forze armate".
Con quest'incidente, sale a 44 il numero degli italiani morti dall'inizio della missione Isaf. I nostri soldati impegnati nell'operazione sono in tutto 4.200.

(www.larepubblica.it 23 settembre 2011)

sabato 21 maggio 2011

Le isole scomparse del Dio Ram

Le isole scomparse nel mare del dio Ram

Poomarichan e Villanguchalli si sono inabissate. Erano due delle 21 lingue di terra del Parco nazionale di Mannar. La causa: la continua estrazione mineraria della barriera corallina usata per i materiali da costruzione. Uno strato calcareo estremamente prezioso per l'ecosistema. Del quale l'uomo ha approfittato troppo
di RAIMONDO BULTRINI

BANGKOK - Molti scienziati sostengono che migliaia di anni fa doveva esserci una lunga striscia di sassi e sabbia tra la costa sud orientale indiana del Tamil Nadu e l'isola di Ceylon, oggi Sri Lanka. Veniva chiamato Adam Bridge, il Ponte di Adamo, in omaggio alla credenza islamica che attribuisce al nostro progenitore la leggendaria passeggiata fino al picco di Ceylon dove restò in meditazione su un solo piede per mille anni. Per gli hindu il dio Ram usò quest'autostrada marina - chiamata in India Ponte di Ram - per andare a salvare sua moglie Sita dalle grinfie del demone Ravana che l'aveva rapita e portata a Ceylon, accompagnato dal possente esercito di scimmie capeggiate dal loro re Hanuman.
Ancora oggi le navi più grandi fanno fatica a trovare un passaggio in questo tratto di mare vasto 500 km quadrati e costellato fino a pochi mesi addietro di 21 piccole isole semideserte del Parco nazionale di Mannar, oggi ridotte a 19 dopo l'inabissamento quasi improvviso di due atolli, Poomarichan e Villanguchalli. All'inizio se n'erano accorti solo gli esperti di Oceanografia e i pescatori che a migliaia solcano queste acque mitologiche. La colpa venne subito attribuita al surriscaldamento dell'atmosfera e allo scioglimento dei ghiacciai.

Ma ricerche più recenti hanno sentenziato che la sorte di Poomarichan e Villanguchalli, a differenza degli altri casi, è stata segnata più dall'intervento degli uomini che da quello di madre natura. L'estrazione mineraria della barriera corallina usata per i materiali da costruzione ha di fatto eroso la base sulla quale poggiavano i tre metri di terra emersa, dicono ora gli esperti, come S. Balaji, responsabile delle foreste e della fauna selvatica di questa regione Indo-Pacifica, unica per le sue risorse biologiche marine con 3600 specie di flora e fauna spesso rarissime. Sono stati principalmente i pescatori delle coste ad approfittare indiscriminatamente e illegalmente (le normative per i vincoli del Parco sono state adottate solo nell'89) di questo substrato calcareo estremamente prezioso per l'ecosistema.
"L'assenza di regolamenti prima del 2002 - ha detto Balaji - è stata la causa di una selvaggia estrazione mineraria interrotta troppo tardi per evitare l'inabissamento delle due isole. L'innalzamento del livello del mare, che qui è stato più lento della media globale, ha avuto a sua volta un impatto, ed "è sicuramente un campanello d'allarme serio per l'intero Oceano indiano" - ha detto il funzionario indiano che dirige anche una fondazione per la salvaguardia della biosfera del Golfo di Mannar.

Della sorte di queste isole sono preoccupati anche gli scienziati dell'Ente per i programmi di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP). "Il golfo di Mannar è una riserva unica per gli ecosistemi come le barriere coralline, le mangrovie e le alghe", ha commentato il biologo marino Deepak Samuel. "È un vivaio per numerose conchiglie - ha aggiunto - e pesci pinnati (un quarto delle 2000 specie vive qui). Questo significherà la progressiva fine del processo riproduttivo in questi tre ecosistemi."
Sono più di 300.000 i pescatori che dipendono dalle risorse delle isole Mannar per sopravvivere, senza contare la sorte delle specie autoctone come il dugong o "mucca" del mare a rischio di estinzione, ben 117 tipi di corallo, 13 delle 14 categorie di alghe dei mari indiani e un prezioso genere di perla raccolta da almeno 2000 anni.
Benché gli isolotti sommersi siano piccoli, - hanno ammonito i ricercatori - la stessa sorte può toccare a lungo termine alle isole più grandi se non rallentano il riscaldamento globale e l'estrazione mineraria illegale, assieme all'inquinamento delle industrie lungo la costa. Per capire l'importanza della barriera corallina in pericolo, fu proprio la sua massa compatta - secondo l'Istituto Oceanografico di Chennai - a salvare le spiagge indiane e molte delle coste dello Sri Lanka da conseguenze ancora più terribili di quelle subite durante lo tsunami del 2004.


Tratto e adattato da www.larepubblica.it del 17 maggio 2011

sabato 30 aprile 2011

LA PRIGIONE DI SILVIO PELLICO


Alle finestre delle prigioni laterali conobbi sei altri detenuti per cose politiche.
Ecco dunque che, mentre io mi disponeva ad una solitudine maggiore che in passato, io mi trovo in una specie di mondo perchè conobbi una persona in carcere. A principio mi dispiacque, perchè il lungo vivere solo mi aveva reso poco socievole.
Nondimeno quel poco di conversazione che prendemmo a fare, parte a voce e parte a segni, parvemi in breve un beneficio, se non come stimolo ad allegrezza, almeno come svago per non pensare. Della mia relazione con Giuliano non feci parola con nessuno. C'eravamo egli ed io dato parola d'onore che il segreto sarebbe restato sepolto in noi. Se ne parlo in queste carte, è perché, sotto gli occhi di chiunque, non sarebbe stato possibile indovinare chi, di tanti che giacevano in quelle carceri, fosse Giuliano.
Alle nuove citate conoscenze di prigionieri s'aggiunse un'altra che mi fu pure dolcissima.
Dalla finestra grande io vedeva, oltre lo sporgimento di carceri che mi stava in faccia, una estensione di tetti, ornata di camini, di campanili, di cupole, la quale andava a perdersi colla prospettiva del mare e del cielo. Nella casa più vicina a me, abitava una buona famiglia, che mi mostrò coi suoi saluti la pietà ch'io le ispirava.
Un saluto, una parola d'amore agl'infelici, è una gran carità!
Cominciò là, da una finestra, ad alzare le sue manine verso me un ragazzetto di nove o dieci anni, e lo sentii gridare:
«Mamma, mamma, han posto qualcheduno lassù ne' Piombi. O povero prigioniero, chi sei?»
«Io sono Silvio Pellico» risposi.
Un altro ragazzo più grandicello corse anch'egli alla finestra, e gridò:
«Tu sei Silvio Pellico?»
«Sì, e voi cari fanciulli?»
«Io mi chiamo Antonio S..., e mio fratello Giuseppe.»
Poi si voltava indietro, e diceva: «Che cos'altro debbo dimandargli?».
Ed una donna, che suppongo essere stata lor madre, e stava mezzo nascosta, suggeriva parole gentili a que' cari figliuoli, ed essi le diceano, ed io ne li ringraziava colla più viva tenerezza.
Quelle conversazioni erano piccola cosa, e non bisognava abusarne per non far gridare il custode, ma ogni giorno ripetevansi con mia grande consolazione, all'alba, a mezzodì e a sera. Quando accendevano il lume, quella donna chiudeva la finestra, i fanciulli gridavano: «Buona notte, Silvio!» ed ella, fatta coraggiosa dall'oscurità, ripetea con voce commossa: «Buona notte, Silvio! coraggio!».
Quando que' fanciulli faceano colezione o merenda, mi diceano:
«Oh se potessimo darti del nostro caffè e latte! Il giorno che andrai in libertà ricordati di venirci a vedere. Ti daremo tanti baci!»


Brano tratto e adattato da "Le mie prigioni", capo XLII, di Silvio Pellico

Silvio Pellico nacque a Saluzzo il 25 giugno 1789.
Fu proprio a causa del suo profondo patriottismo che nel 1820 venne arrestato con l'accusa di carboneria: condannato a morte, la sentenza fu trasformata in 15 anni di carcere duro, da scontare nella fortezza di Spielberg, in Moravia. Nel 1830 arrivò anticipatamente la grazia imperiale e, tornato in Italia, lo scrittore scelse Torino, si ritirò completamente dalla politica attiva, vivendo grazie ad un posto di bibliotecario presso la marchesa di Barolo.
Ad ogni modo non dimenticò l'esperienza carceraria, un evento che divenne il soggetto dell'opera "Le mie prigioni", del 1832.
Morì a Torino il 31 gennaio 1854.

domenica 10 aprile 2011

NAPOLEONE: L'ESILIO NELL'ISOLA DI SANT'ELENA E LA MORTE

Napoleone a Sant'Elena


Il 16 ottobre 1815 un bastimento inglese giunge a Sant'Elena col prezioso carico. Lì, con un piccolo seguito di fedelissimi, Napoleone dettò le sue memorie ed espresse il suo disprezzo per gli Inglesi, personificati nell'odiosa figura del 'carceriere' di Napoleone sir Hudson Lowe. Egli dettò al conte di Las Cases il Memoriale di Sant'Elena, una delle più grandi opere letterarie della storia e l'opera in cui appare nella sua grandezza e verità la figura di Napoleone. Nella seconda metà dell'aprile del 1821, lui stesso scrisse le sue ultime volontà e molte note a margine (per un totale di 40 pagine).
I dolori allo stomaco di cui già soffriva da tempo, acuitisi nel clima inospitale dell'isola e dal duro regime inglese, lo condussero alla morte il 5 maggio 1821: poco dopo aver appreso la notizia che Alessandro Manzoni scrisse la famosa ode Il cinque maggio, che ebbe una forte eco in tutta Europa e che fu tradotta in tedesco da Johann Wolfgang Goethe. Fu vera gloria?, Manzoni si chiese. Ai posteri l'ardua sentenza: nui chiniam la fronte al Massimo Fattor, che volle in lui del creator suo spirito più vasta orma stampar.
Le ultime parole di Napoleone furono: "Francia, esercito, Giuseppina" (France, les Armée, Josephine): i tre più grandi amori della sua vita. Egli chiese di essere seppellito sulle sponde della Senna, ma fu invece seppellito a Sant'Elena. Nel 1840 i suoi resti furono trasportati in Francia e inumati all'Hôpital des Invalides a Parigi. Nove anni dopo la morte di Napoleone, i Borboni furono cacciati. La statua dell'imperatore venne restaurata sulla colonna di Place Vendome. Quando Gerolamo Bonaparte portò la notizia a Letizia, la vecchia madre ormai inferma, essa si rianimò e cercò con gli occhi il busto del figlio: L'imperatore è tornato a Parigi, sussurrò.

Teorie sulla causa della morte

La causa della morte di Napoleone non è certa. La versione ufficiale parla di morte dovuta ad un tumore allo stomaco, come risultò dall'autopsia. Lo stesso padre di Napoleone morì per la stessa malattia. Ci sono anche varie teorie che sostengono la tesi del lento avvelenamento con l'arsenico. Infine secondo un'altra teoria furono i medici di Napoleone a causarne la morte: a causa del tumore allo stomaco cercavano di alleviargli i dolori sottoponendolo a clisteri giornalieri e gli somministravano sostanze varie per farlo vomitare. Queste cure privarono l'organismo di Napoleone di potassio, avendo come risultato una grave forma di tachicardia che lo uccise.
Nel 1955 furono pubblicati i diari di Louis Marchand, cameriere di Napoleone. La sua descrizione negli ultimi mesi prima della morte porta alcuni alla conclusione che sia stato avvelenato con l'arsenico. L'arsenico a quel tempo era talvolta utilizzato come veleno ed era difficilmente rilevabile se somministrato per un lungo periodo di tempo.
In ogni caso si tratta di teorie.
Ma la domanda che ci poniamo è la seguente: che cosa avrà pensato Napoleone guardando l'Oceano che circondava quella piccola isola? Quanto deve aver sofferto un uomo come lui che aveva vissuto i fasti e la popolarità, che aveva avuto il comando di quasi tutta Europa?

Tratto e adattato da http://www.biografieonline.it/

sabato 2 aprile 2011

Picchiato dai compagni all'uscita da scuola

Dodicenne ricoverato in gravi condizioni

E' successo davanti a una scuola media di Lecce. Il ragazzino ha diverse contusioni e una sospetta frattura

di ALESSANDRA BIANCO

Tre contro uno. Ieri mattina all’uscita da scuola un 12enne è stato pestato da tre compagni di scuola e di classe. Allo scoccare della campanella il ragazzino è stato accerchiato e picchiato. Prima ingiurie, poi pugni e calci a cui lo studente della scuola media “Giovanni Falcone” di Galatina non è riuscito a sottrarsi riportando contusioni e lividi. A soccorrerlo la madre che lo aspettava fuori dall’istituto per riportarlo a casa. Quando la donna ha scorto il figlio riverso per terra si è allarmata ed ha chiamato il 118. Il minore è stato subito trasportato in ambulanza all’ospedale locale “San Giuseppe”. Il ragazzo, comunque, non è in pericolo di vita, ma, a causa della violenta colluttazione, avrebbe riportato ecchimosi su tutto il corpo ed un forte dolore al femore, tanto da far pensare ai sanitari a una frattura, fortunatamente rivelatasi poi, soltanto una lussazione.


I carabinieri hanno fatto scattare le indagini ed ascoltato il ragazzino, il quale avrebbe indicato i nomi dei suoi aggressori, permettendone l’identificazione. Si tratterebbe di due amichetti della sua classe, due di 11 ed uno di 12 anni, con cui pare avesse già avuto in passato dei diverbi ma sempre per futili motivi. Anche altre testimonianze avrebbero confermato la vicenda, sottolineando che già altre volte il ragazzino era stato preso di mira dai coetanei che, nonostante la gravità del gesto, sono stati affidati ai genitori, ma senza rischiare la galera. Il fatto di avere un’età inferiore ai 14 anni, infatti, non li rende imputabili (accusabili), perché si ritiene che un minore di 14 anni non sia responsabile totalmente delle sue azioni.

Tratto da http://www.larepubblica.it/ del 01 aprile 2011