sabato 30 aprile 2011

LA PRIGIONE DI SILVIO PELLICO


Alle finestre delle prigioni laterali conobbi sei altri detenuti per cose politiche.
Ecco dunque che, mentre io mi disponeva ad una solitudine maggiore che in passato, io mi trovo in una specie di mondo perchè conobbi una persona in carcere. A principio mi dispiacque, perchè il lungo vivere solo mi aveva reso poco socievole.
Nondimeno quel poco di conversazione che prendemmo a fare, parte a voce e parte a segni, parvemi in breve un beneficio, se non come stimolo ad allegrezza, almeno come svago per non pensare. Della mia relazione con Giuliano non feci parola con nessuno. C'eravamo egli ed io dato parola d'onore che il segreto sarebbe restato sepolto in noi. Se ne parlo in queste carte, è perché, sotto gli occhi di chiunque, non sarebbe stato possibile indovinare chi, di tanti che giacevano in quelle carceri, fosse Giuliano.
Alle nuove citate conoscenze di prigionieri s'aggiunse un'altra che mi fu pure dolcissima.
Dalla finestra grande io vedeva, oltre lo sporgimento di carceri che mi stava in faccia, una estensione di tetti, ornata di camini, di campanili, di cupole, la quale andava a perdersi colla prospettiva del mare e del cielo. Nella casa più vicina a me, abitava una buona famiglia, che mi mostrò coi suoi saluti la pietà ch'io le ispirava.
Un saluto, una parola d'amore agl'infelici, è una gran carità!
Cominciò là, da una finestra, ad alzare le sue manine verso me un ragazzetto di nove o dieci anni, e lo sentii gridare:
«Mamma, mamma, han posto qualcheduno lassù ne' Piombi. O povero prigioniero, chi sei?»
«Io sono Silvio Pellico» risposi.
Un altro ragazzo più grandicello corse anch'egli alla finestra, e gridò:
«Tu sei Silvio Pellico?»
«Sì, e voi cari fanciulli?»
«Io mi chiamo Antonio S..., e mio fratello Giuseppe.»
Poi si voltava indietro, e diceva: «Che cos'altro debbo dimandargli?».
Ed una donna, che suppongo essere stata lor madre, e stava mezzo nascosta, suggeriva parole gentili a que' cari figliuoli, ed essi le diceano, ed io ne li ringraziava colla più viva tenerezza.
Quelle conversazioni erano piccola cosa, e non bisognava abusarne per non far gridare il custode, ma ogni giorno ripetevansi con mia grande consolazione, all'alba, a mezzodì e a sera. Quando accendevano il lume, quella donna chiudeva la finestra, i fanciulli gridavano: «Buona notte, Silvio!» ed ella, fatta coraggiosa dall'oscurità, ripetea con voce commossa: «Buona notte, Silvio! coraggio!».
Quando que' fanciulli faceano colezione o merenda, mi diceano:
«Oh se potessimo darti del nostro caffè e latte! Il giorno che andrai in libertà ricordati di venirci a vedere. Ti daremo tanti baci!»


Brano tratto e adattato da "Le mie prigioni", capo XLII, di Silvio Pellico

Silvio Pellico nacque a Saluzzo il 25 giugno 1789.
Fu proprio a causa del suo profondo patriottismo che nel 1820 venne arrestato con l'accusa di carboneria: condannato a morte, la sentenza fu trasformata in 15 anni di carcere duro, da scontare nella fortezza di Spielberg, in Moravia. Nel 1830 arrivò anticipatamente la grazia imperiale e, tornato in Italia, lo scrittore scelse Torino, si ritirò completamente dalla politica attiva, vivendo grazie ad un posto di bibliotecario presso la marchesa di Barolo.
Ad ogni modo non dimenticò l'esperienza carceraria, un evento che divenne il soggetto dell'opera "Le mie prigioni", del 1832.
Morì a Torino il 31 gennaio 1854.

domenica 10 aprile 2011

NAPOLEONE: L'ESILIO NELL'ISOLA DI SANT'ELENA E LA MORTE

Napoleone a Sant'Elena


Il 16 ottobre 1815 un bastimento inglese giunge a Sant'Elena col prezioso carico. Lì, con un piccolo seguito di fedelissimi, Napoleone dettò le sue memorie ed espresse il suo disprezzo per gli Inglesi, personificati nell'odiosa figura del 'carceriere' di Napoleone sir Hudson Lowe. Egli dettò al conte di Las Cases il Memoriale di Sant'Elena, una delle più grandi opere letterarie della storia e l'opera in cui appare nella sua grandezza e verità la figura di Napoleone. Nella seconda metà dell'aprile del 1821, lui stesso scrisse le sue ultime volontà e molte note a margine (per un totale di 40 pagine).
I dolori allo stomaco di cui già soffriva da tempo, acuitisi nel clima inospitale dell'isola e dal duro regime inglese, lo condussero alla morte il 5 maggio 1821: poco dopo aver appreso la notizia che Alessandro Manzoni scrisse la famosa ode Il cinque maggio, che ebbe una forte eco in tutta Europa e che fu tradotta in tedesco da Johann Wolfgang Goethe. Fu vera gloria?, Manzoni si chiese. Ai posteri l'ardua sentenza: nui chiniam la fronte al Massimo Fattor, che volle in lui del creator suo spirito più vasta orma stampar.
Le ultime parole di Napoleone furono: "Francia, esercito, Giuseppina" (France, les Armée, Josephine): i tre più grandi amori della sua vita. Egli chiese di essere seppellito sulle sponde della Senna, ma fu invece seppellito a Sant'Elena. Nel 1840 i suoi resti furono trasportati in Francia e inumati all'Hôpital des Invalides a Parigi. Nove anni dopo la morte di Napoleone, i Borboni furono cacciati. La statua dell'imperatore venne restaurata sulla colonna di Place Vendome. Quando Gerolamo Bonaparte portò la notizia a Letizia, la vecchia madre ormai inferma, essa si rianimò e cercò con gli occhi il busto del figlio: L'imperatore è tornato a Parigi, sussurrò.

Teorie sulla causa della morte

La causa della morte di Napoleone non è certa. La versione ufficiale parla di morte dovuta ad un tumore allo stomaco, come risultò dall'autopsia. Lo stesso padre di Napoleone morì per la stessa malattia. Ci sono anche varie teorie che sostengono la tesi del lento avvelenamento con l'arsenico. Infine secondo un'altra teoria furono i medici di Napoleone a causarne la morte: a causa del tumore allo stomaco cercavano di alleviargli i dolori sottoponendolo a clisteri giornalieri e gli somministravano sostanze varie per farlo vomitare. Queste cure privarono l'organismo di Napoleone di potassio, avendo come risultato una grave forma di tachicardia che lo uccise.
Nel 1955 furono pubblicati i diari di Louis Marchand, cameriere di Napoleone. La sua descrizione negli ultimi mesi prima della morte porta alcuni alla conclusione che sia stato avvelenato con l'arsenico. L'arsenico a quel tempo era talvolta utilizzato come veleno ed era difficilmente rilevabile se somministrato per un lungo periodo di tempo.
In ogni caso si tratta di teorie.
Ma la domanda che ci poniamo è la seguente: che cosa avrà pensato Napoleone guardando l'Oceano che circondava quella piccola isola? Quanto deve aver sofferto un uomo come lui che aveva vissuto i fasti e la popolarità, che aveva avuto il comando di quasi tutta Europa?

Tratto e adattato da http://www.biografieonline.it/

sabato 2 aprile 2011

Picchiato dai compagni all'uscita da scuola

Dodicenne ricoverato in gravi condizioni

E' successo davanti a una scuola media di Lecce. Il ragazzino ha diverse contusioni e una sospetta frattura

di ALESSANDRA BIANCO

Tre contro uno. Ieri mattina all’uscita da scuola un 12enne è stato pestato da tre compagni di scuola e di classe. Allo scoccare della campanella il ragazzino è stato accerchiato e picchiato. Prima ingiurie, poi pugni e calci a cui lo studente della scuola media “Giovanni Falcone” di Galatina non è riuscito a sottrarsi riportando contusioni e lividi. A soccorrerlo la madre che lo aspettava fuori dall’istituto per riportarlo a casa. Quando la donna ha scorto il figlio riverso per terra si è allarmata ed ha chiamato il 118. Il minore è stato subito trasportato in ambulanza all’ospedale locale “San Giuseppe”. Il ragazzo, comunque, non è in pericolo di vita, ma, a causa della violenta colluttazione, avrebbe riportato ecchimosi su tutto il corpo ed un forte dolore al femore, tanto da far pensare ai sanitari a una frattura, fortunatamente rivelatasi poi, soltanto una lussazione.


I carabinieri hanno fatto scattare le indagini ed ascoltato il ragazzino, il quale avrebbe indicato i nomi dei suoi aggressori, permettendone l’identificazione. Si tratterebbe di due amichetti della sua classe, due di 11 ed uno di 12 anni, con cui pare avesse già avuto in passato dei diverbi ma sempre per futili motivi. Anche altre testimonianze avrebbero confermato la vicenda, sottolineando che già altre volte il ragazzino era stato preso di mira dai coetanei che, nonostante la gravità del gesto, sono stati affidati ai genitori, ma senza rischiare la galera. Il fatto di avere un’età inferiore ai 14 anni, infatti, non li rende imputabili (accusabili), perché si ritiene che un minore di 14 anni non sia responsabile totalmente delle sue azioni.

Tratto da http://www.larepubblica.it/ del 01 aprile 2011